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Il Volto dell’Omicidio
Blake Pierce


Un Thriller di Zoe Prime #2
“UN CAPOLAVORO DEL THRILLER E DEL MISTERO. Blake Pierce ha svolto un lavoro magnifico nella caratterizzazione di personaggi così accuratamente descritti da un punto di vista psicologico che possiamo calarci nelle loro menti, seguire le loro paure e gioire dei loro successi. Ricco di colpi di scena, questo libro vi terrà svegli fino all’ultima pagina.”

–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (re Il Killer della Rosa)



IL VOLTO DELL’OMICIDIO è il volume #2 di una nuova collana di romanzi thriller incentrati sull’FBI ad opera dell’autore bestseller secondo USA Today Blake Pierce, il cui bestseller #1 Il Killer della Rosa (Volume #1) (download gratuito) ha ricevuto oltre 1,000 recensioni a cinque stelle.



L’Agente Speciale dell’FBI Zoe Prime soffre di una rara condizione che le dona anche un talento unico: quello di vedere il mondo attraverso una lente di numeri. I numeri la tormentano, rendendola incapace di relazionarsi agli altri e facendole avere una vita sentimentale deludente, ma le permettono anche di vedere schemi che nessun altro agente dell’FBI è in grado di vedere. Zoe tiene segreta la sua condizione, in preda alla vergogna e alla paura che i suoi colleghi possano scoprirla.



Quando alcune persone sono rinvenute uccise, i loro corpi marchiati con misteriosi numeri, fuori Washington, D.C., l’FBI, in difficoltà, si rivolge all’Agente Speciale Zoe Prime per decifrare l’enigma matematico e trovare il serial killer.



Eppure i numeri non hanno alcun senso. Sono uno schema? Una formula?



Oppure non hanno alcun significato?



Zoe, alle prese con i suoi problemi personali, non può concedersi il lusso di aspettare, poiché si accumulano più corpi, e tutti gli sguardi sono rivolti verso di lei per risolvere un’equazione che, forse, non può essere risolta. Riuscirà a prendere l’assassino in tempo?



Thriller ricco di azione dalla suspense al cardiopalma, IL VOLTO DELL’OMICIDIO è il volume #2 di un’avvincente nuova collana che vi terrà incollati alle pagine fino a notte fonda.



Il Volume #3 della serie, IL VOLTO DELLA PAURA, ГЁ anche disponibile per il pre-ordine.





Blake Pierce

IL VOLTO DELL’OMICIDIO




IL VOLTO




DELL’OMICIDIO




(Un Thriller di Zoe Prime—Volume 2)




B L A K EВ В  P I E R C E




TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI


ANTONIO CURATOLO



Blake Pierce

Blake Pierce è autore bestseller secondo USA Today della serie mistery RILEY PAIGE, che include sedici libri (e altri in arrivo). Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE, che comprende tredici libri (e altri in arrivo); della serie mistery AVERY BLACK, che comprende sei libri; della serie mistery KERI LOCKE, che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie mistery KATE WISE, che comprende sei libri (e altri in arrivo); del sorprendente mistery psicologico CHLOE FINE, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); dell’emozionante serie thriller psicologica JESSIE HUNT, che comprende cinque libri (e altri in arrivo); della serie thriller psicologica che vi farà stare con il fiato sospeso, AU PAIR, che comprende due libri (e altri in arrivo); e della serie mistery ZOE PRIME, che comprende due libri (e altri in arrivo).



Avido lettore e fan da sempre dei generi mistery e thriller, Blake adora sentire le vostre opinioni, quindi non esitate a visitare il sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per scoprire di piГ№ su questo autore e mettervi in contatto con lui.








Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Tavarius, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE

THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Volume#1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Volume #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Volume #3)



LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)



THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)



I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)



I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)



I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)



GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)



UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE

UNA LEZIONE TORMENTATA



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




PROLOGO


Il professor Ralph Henderson sospirò, si massaggiò il ponte del naso e frugò nelle tasche del suo cappotto alla ricerca delle chiavi dell’auto. Aveva trascorso una lunga serata a correggere i compiti d’Inglese, e i casi erano due: o i suoi studenti stavano diventando sempre più stupidi oppure era lui a essere sempre più stanco del suo lavoro. Era decisamente intenzionato a mettersi a letto con un bicchierino di whiskey e uno dei suoi classici.

Il parcheggio della Georgetown era quasi vuoto, la maggior parte degli altri docenti aveva avuto il buon senso di andare a casa già da un bel po’. Il tempo era freddo e cupo, le luci dei lampioni tremavano ogniqualvolta una falena andava a sbattervi con intento suicida. Henderson tagliò attraverso le piazzole vuote, prendendo una scorciatoia per dirigersi verso la propria auto. Si gingillò brevemente con l’idea di fermarsi da qualche parte sulla strada del ritorno per prendere un caffè da asporto. Ma forse sarebbe stato meglio tornare semplicemente a casa il prima possibile, alla sicurezza e al calore del proprio focolare.

I suoi passi risuonarono nel garage con una lugubre eco, il soffitto e il pavimento di cemento permettevano ai suoni di rimbalzare da una parte all’altra. In notti come questa, il garage si trasformava in un altro tipo di bestia. Un luogo dove loschi figuri avrebbero potuto nascondersi nell’ombra, pronti a sferrare il proprio attacco. Impossibile allontanare quel pensiero, nonostante continuasse a ripetersi di essere una persona adulta e di doverla piantare di sentirsi impaurito dal buio.

Sia chiaro, questa sera c’era un valido motivo per sentirsi nervosi. Nel campus giravano voci di un omicidio che era stato commesso proprio lì, sotto i loro nasi. Uno studente che Henderson aveva conosciuto. Forse era questa la ragione della pelle d’oca che provava mentre percorreva il garage, e il motivo per il quale non poteva fare a meno di lanciare occhiate furtive e di spalancare gli occhi, cercando di capire se ci fosse qualcuno nascosto nel buio.

Cercò di distrarsi. C’era altro a cui pensare. Aveva dovuto respingere un ragazzo dal suo corso per aver sbagliato un altro compito. Era così frustrante insegnare, vedere questi ragazzi con così tanto potenziale farsi coinvolgere dalle feste e non prendere seriamente i propri studi. Henderson lo aveva bocciato con rammarico, ma dopo aver ricevuto un’e-mail dallo studente, si sentiva molto più che giustificato.

L’e-mail era piena di astio, al limite del minaccioso. A quanto pare, il ragazzo non aveva preso bene il fatto di essere stato bocciato e voleva accertarsi che Henderson lo sapesse. Come se un gesto del genere potesse in qualche modo reintegrarlo nel corso. Come no! Il ragazzo aveva un sacco di cose da imparare a proposito della vita e di come le persone reagivano al modo in cui venivano trattate.

Henderson raggiunse l’auto e armeggiò con le chiavi, le sue dita erano rigide e lente per aver scritto un sacco di note mentre valutava le prove degli studenti. Imprecò contro se stesso, un tremore prese il sopravvento sulle sue mani, spinto dall’isolamento del garage di sera. Si stava comportando da sciocco. Era un uomo adulto, santo cielo, e di giorno attraversava questo garage senza neanche pensarci.

Ad ogni modo, pensò cupamente, se qualcuno lo avesse seguito sarebbe stato sicuramente quello studente arrabbiato. E lui non era abbastanza intelligente da pedinare un professore nell’oscurità di un garage. Era il tipo di ragazzo che inviava e-mail arrabbiate e lasciava una traccia. Nulla di cui doversi preoccupare seriamente. Henderson avrebbe fatto rapporto al preside domattina, e sarebbe finita lì.

Cos’era quel rumore? Erano passi? Qualcosa non quadrava. Finora aveva respinto le proprie paure, ma adesso si sentiva meno sicuro. La sensazione di pelle d’oca sulla nuca di Henderson si intensificò, una sorta di premonizione, ma prima che potesse voltarsi la sua testa fu sbattuta con estrema violenza contro il finestrino dell’auto.

Henderson ebbe a malapena il tempo di rendersene conto e di avvertire il dolore travolgente che proveniva dal suo naso, prima che la mano che lo teneva fermo dalla nuca la sbattesse nuovamente contro la fiancata dell’auto. Si stava lasciando andare sempre di più, sopraffatto dallo shock e dalle ferite, il suo corpo diventava fiacco. Cercò di divincolarsi un po’, facendo cadere la valigetta a terra, ma non riuscì a opporsi al colpo successivo, né a quello dopo. La sua testa continuò a colpire il telaio rosso dell’auto: la tempia, la parte superiore di un’orbita oculare, la mascella, appena sotto l’orecchio.

Avvertì le ferite con una sorta di shock distante. Il rumore di un osso che si spezzava. Il pensiero dei lividi che gli spuntavano sul viso, poi dei tagli e delle escoriazioni, quindi di qualcosa di più grave. Tutto ciò che riuscì a pensare, stupidamente, fu che la sua faccia ne sarebbe uscita rovinata. Tutto ciò che ebbe tempo di pensare prima della fine.

La mano che lo teneva stretto allentò la presa e Henderson si afflosciò impietosamente a terra, sbattendo una spalla. Lo sentì a stento, rispetto a tutto il resto. Ora la sua posizione gli permetteva di girare la testa e guardare, nonostante fosse intontito e avesse la vista offuscata. Forse dipendeva dai colpi ricevuti, o forse dal sangue che colava davanti ai suoi occhi. O, probabilmente, dal fatto che la sua orbita oculare doveva essere ormai frantumata.

Chi era quello? Una forma vaga, soltanto un sospiro, come se davanti a lui ci fosse un fantasma piuttosto che un uomo. Ma si trattava di un uomo, doveva esserlo. Se soltanto fosse riuscito a capire chi … ma i sensi di Henderson stavano scivolando via da lui come sabbia attraverso le dita, e alla fine non riuscì più a resistere. Qualcosa lo stava abbandonando, lasciandolo freddo e vuoto. Sapeva che era quasi finita. Il mondo attorno a lui stava diventando oscuro, la figura eterea che lo sovrastava guardava in silenzio.

L’ombra si allungò sopra di lui e sollevò la sua testa un’ultima volta, sbattendola violentemente sull’asfalto, un impatto di cui Henderson si rese conto a malapena prima di precipitare nell’oscurità.

Il lavoro era stato portato a termine.

Non si sarebbe mai piГ№ risvegliato.




CAPITOLO UNO


Zoe seguì le crepe sul bracciolo della poltrona in pelle, notando come il loro schema rivelasse una storia di invecchiamento, di tutte quelle mani e quelle braccia diverse che si erano poggiate proprio su quel punto. Non riusciva a capire se si trattasse di una cosa confortevole, di un indice di esperienza o se fosse semplicemente una cosa disgustosa. Chissà quali germi si annidavano all’interno del tessuto.

“Zoe?” la dottoressa Lauren Monk la richiamò all’attenzione, da una sedia altrettanto confortevole posizionata di fronte a lei.

Zoe alzò lo sguardo con aria colpevole. “Mi scusi, avrei dovuto risponderle?”

La dottoressa Monk sospirò, battendo la penna su un blocchetto d’appunti che aveva in mano. Nonostante la presenza di un registratore sulla scrivania durante tutte le loro sedute, sembrava che la dottoressa Monk fosse ancora un’amante dei metodi tradizionali. “Cambiamo approccio per un momento,” disse. “Ormai abbiamo svolto insieme diverse sedute, non è così Zoe? Noto che a volte hai qualche problema con i segnali sociali.”

Ah. Quello. Zoe minimizzò, cercando di assumere un’aria di indifferenza. “Non sempre riesco a capire le reazioni delle persone.”

“O i modi in cui si aspettano che tu reagisca?”

Zoe scrollò nuovamente le spalle, il suo sguardo si spostò alla finestra. Quindi si sforzò di concentrarsi di più: avrebbe dovuto prendere parte attivamente a queste sedute, non comportarsi come un’adolescente complessata. “La mia logica è diversa dalla loro.”

“Perché pensi che lo sia?”

Zoe sapeva perché, o almeno pensava di saperlo. I numeri. I numeri che erano ovunque guardasse, in qualsiasi momento della giornata. Persino adesso le stavano rivelando la gradazione degli occhiali indossati dalla dottoressa (abbastanza forti da richiedere a malapena un qualche tipo di aiuto), il fatto che c’era mezzo millimetro di polvere sulle cornici dei certificati appesi alle pareti ma solo un quarto di millimetro sulla cornice della laurea in psicologia (che indicava un forte senso di orgoglio per aver raggiunto quel risultato rispetto a tutti gli altri), e che finora la dottoressa Monk aveva scritto esattamente sette parole durante la loro conversazione.

Desiderava dirglielo, o almeno una parte di lei lo voleva. Non aveva ancora ammesso alla dottoressa Monk di avere una capacitГ  che, a quanto pare, nessun altro possedeva. Nessuno a parte il serial killer occasionale, se il caso al quale aveva lavorato un mesetto fa le aveva insegnato qualcosa.

Ma c’era un’altra parte di lei, quella tuttora prevalente, che non aveva intenzione di ammettere proprio un bel niente.

“Sono semplicemente nata così,” rispose Zoe.

La dottoressa Monk annuì, ma stavolta non scrisse nulla. A quanto pare la risposta non era abbastanza significativa. “Come ti senti quando non cogli questi segnali sociali? Ti infastidisce?”

Forse fu il fatto che ormai avevano svolto abbastanza sedute da far svanire l’imbarazzo iniziale. Forse soltanto la libertà di parlare con qualcuno con cui non aveva un vero e proprio legame professionale o personale. Ad ogni modo, e senza il suo permesso consapevole, la bocca di Zoe si lasciò sfuggire una verità che la sua mente aveva tenuto celata fino a quel momento. “Per Shelley è così facile.”

Zoe si maledisse un istante dopo. Per quale accidenti di motivo aveva detto una cosa del genere? Ora avrebbero trascorso il resto della seduta a scavare nella gelosia che covava verso Shelley, piuttosto che lavorare sui veri problemi. E, fino a quel momento, non era neanche stata conscia di quell’invidia.

“L’Agente Shelley Rose,” disse la dottoressa Monk, consultando i suoi appunti, presi durante una precedente seduta nel suo studio. “In passato, mi hai detto di sentirti più a tuo agio con lei che con i tuoi ex colleghi. Ma sei gelosa di lei. Puoi spiegarti meglio?”

Zoe fece un respiro. Certo che poteva, ma non voleva farlo. Fissò le proprie dita, ritenendo suo malgrado che fosse meglio vuotare il sacco. “Shelley ci sa fare con le persone. Le induce ad ammettere le cose. E lei piace alla gente. Non soltanto ai sospettati. A chiunque.”

“Ritieni di non piacere alle persone, Zoe?”

Zoe si agitò, sentendosi a disagio. Era tutta colpa sua. Non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire quella frase. Ammettere una debolezza era un palese invito ad approfondire. Era per questo che non aveva ancora parlato dei numeri. Il fatto che questa terapista le fosse stata consigliata dalla dottoressa Applewhite, la sua più fidata amica e mentore, non voleva dire che Zoe potesse confidarle il suo più profondo e oscuro segreto. “Non ho molti amici. I colleghi solitamente chiedono il trasferimento pur di non lavorare più con me,” ammise.

“Credi che questo abbia a che fare con la tua difficoltà con i segnali sociali?”

La donna le stava rivolgendo una domanda scontata. “Quello e altre cose.”

“Quali cose?”

La domanda scontata. Zoe gemette tra sé e sé. Si era preparata per quella trappola. “Il mio lavoro è difficile. Sono spesso via. Non ho molto tempo per mettere radici.”

La dottoressa Monk annuì gentilmente. Stava sorridendo in modo incoraggiante, come se Zoe stesse davvero facendo progressi. La parte di lei che desiderava l’attenzione positiva e l’affetto che non aveva mai ricevuto da sua madre ne fu entusiasta, nonostante lei non lo volesse. Finora, la terapia aveva soltanto messo in risalto tutti i suoi difetti. “Cosa mi dici di Shelley? Lei ha messo radici?”

Zoe annuì, ingoiando il rospo. “Ha un marito e una figlia piccola. Amelia. Parla un sacco di lei.”

La dottoressa Monk portò la penna alle labbra, picchiettandola significativamente per tre volte. “Vuoi anche tu una famiglia.”

Zoe alzò bruscamente lo sguardo, quindi ricordò che non c’era da sorprendersi che una terapista riuscisse a distinguere i pensieri più sinceri che si celavano dietro qualsiasi altra cosa venisse detta. “Sì,” rispose semplicemente. Non c’era alcun motivo di negarlo. “Ma sono decisamente lontana da quel punto.”

“Quando ci siamo incontrate per la nostra prima seduta, mi hai detto di aver avuto un appuntamento.” Alla dottoressa Monk non fu necessario controllare i suoi appunti per ricordarsene, notò Zoe. “Lui ti ha contattato, giusto? Gli hai risposto?”

Zoe scosse la testa, negando. “Mi ha inviato alcune e-mail e ha cercato di chiamarmi. Non gli ho mai risposto.”

“Per quale motivo?”

Zoe scrollò le spalle. Non lo sapeva con esattezza. Allungò consapevolmente una mano per toccare alcune ciocche dei suoi capelli castani, tagliati corti per praticità piuttosto che per moda. C’erano molte cose di lei che forse non erano attraenti in modo convenzionale, e lei lo sapeva, anche se non capiva esattamente in che modo gli altri la vedessero. “Forse perché il primo appuntamento è stato imbarazzante. Ero troppo distratta. Non riuscivo a concentrarmi su quello che stava dicendo. Ero noiosa.”

“Ma non è quello che ha pensato lui, no? Questo …?”

“John.”

“Questo John sembra interessato. Continua a cercarti. È un buon segno.”

Zoe annuì. Non c’era nient’altro da aggiungere. Il discorso della dottoressa Monk era sensato, anche se odiava ammetterlo.

“Lascia che ti dica cosa vedo,” continuò la dottoressa Monk. “Mi hai fatto capire che Shelley ha il tipo di vita che desideri. Lei è felicemente sposata e ha una figlia, la sua carriera va a gonfie vele e ha abilità che tu non hai. Saremo sempre gelosi di chi può fare cose che a noi sono precluse. Fa parte della natura umana. La cosa importante è non lasciare che questo ti consumi, e focalizzarti piuttosto sui risultati che puoi raggiungere.”

Prima di continuare, attese che Zoe annuisse nuovamente per essere certa che stesse ascoltando.

“Le cose non accadono da sole. O, in altri termini, è improbabile che tu possa sposarti se eviti qualsiasi appuntamento. Ti suggerisco di chiamare John e di concedergli una seconda possibilità. Forse non andrà bene, o forse andrà incredibilmente bene. L’unico modo per scoprirlo è provarci.”

“Crede che dovrei sposare John?” Zoe aggrottò la fronte.

“Credo che dovresti uscire con lui.” La dottoressa Monk sorrise. “E se lui non dovesse andar bene, credo che dovresti uscire con qualcun altro. È così che agisci per raggiungere i tuoi obiettivi. Un passo alla volta.”

Zoe non era del tutto convinta, ma annuì ugualmente. Inoltre, aveva qualcosa di importante di cui occuparsi, adesso. “Credo che il nostro tempo sia scaduto.”

La dottoressa Monk scoppiò a ridere. “Questo dovrei dirlo io,” disse, alzandosi per accompagnare alla porta Zoe. “E non pensare che sia così facile confondermi. La prossima volta torneremo sulla faccenda dei segnali sociali e sul fatto di vedere le cose in maniera differente rispetto agli altri. Ne verremo a capo, anche se non sei ancora pronta per essere completamente sincera con me.”

Zoe evitГІ lo sguardo della terapista mentre si dirigeva fuori dallo studio, non volendo tradire il fatto di sperare ancora che la dottoressa se ne dimenticasse davvero.




CAPITOLO DUE


Quanto meno il pranzo fu un momento entusiasmante per Zoe. Era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta in cui aveva incontrato di persona la sua mentore, e adesso non vedeva l’ora di farlo. Bastò questo pensiero, il fatto che fosse in arrivo qualcosa di piacevole, a farle superare la sessione di terapia.

La dottoressa Francesca Applewhite, una docente di matematica che aveva lavorato presso il college di Zoe, si era rivelata una dei migliori biglietti da visita che Zoe avesse mai avuto in vita sua. A quel tempo, quando era ancora una ragazza e si sentiva un pesce fuor d’acqua nell’atmosfera sociale dei dormitori, era stata scettica all’idea di vedere un altro terapista. Invece la dottoressa l’aveva capita completamente, le aveva detto che il suo era un dono speciale, qualcosa che doveva assolutamente coltivare. Avevano iniziato con lezioni private, concepite per portare le sue doti ad un altro livello accademico. Tutto il resto si era sviluppato di conseguenza.

“Dottoressa,” la salutò Zoe, avvicinandosi al tavolo e mettendosi a sedere. La dottoressa Applewhite era indubbiamente lì da un po’ di tempo, a giudicare dalla tazza di caffè già mezza vuota e dal tascabile che aveva in mano. Zoe non poté fare a meno di notare che le mèches grigie stavano prendendo il sopravvento su quei capelli un tempo neri, un netto contrasto rispetto al primo ricordo della dottoressa che portava nella sua memoria.

La dottoressa Applewhite fece scivolare un segnalibro tra le pagine del tascabile e lo mise da parte, sorridendo mentre alzava lo sguardo. “La mia laureata preferita. Come ti sta trattando l’FBI?”

Aveva un buon motivo per fare quella domanda. Dopotutto, era stata proprio lei a consigliare a Zoe di entrare nelle forze dell’ordine. Dopo che una sua collega, una delle insegnanti di matematica di Zoe, le aveva fatte conoscere, la vita di Zoe era cambiata. Sapeva esattamente chi doveva ringraziare per quello.

“Bene. Con la mia nuova partner procede bene,” rispose Zoe. Prese il menu per studiarne le voci, senza tuttavia averne particolarmente bisogno. Sapeva già cosa ordinare. Una rapida occhiata alle dimensioni delle righe e delle colonne le rivelò che non era stato aggiunto nulla di nuovo, e loro due si incontravano sempre in quel locale, a pranzo.

La dottoressa Applewhite si sporse per attirare l’attenzione di un cameriere, e Zoe la osservò. Ricordò quel primo incontro. Il modo in cui la dottoressa Applewhite aveva mostrato un vero interesse in quello che Zoe avesse da dire. Una delle poche persone in vita sua ad ascoltarla realmente. La donna aveva messo su qualche chilo da quell’ultima volta, ma non aveva mai perso un grammo dell’empatia che aveva mostrato ad una ragazza che non aveva la minima idea del proprio posto nel mondo.

Il loro rapporto era cresciuto col passare del tempo. Zoe non si fidava facilmente, ed era anche piuttosto restia ad aprirsi con lei. Ma alla fine aveva dovuto correre il rischio, ammettere il suo segreto. Parlarle dei numeri.

Non era stato facile. Dopo tutti quegli anni in cui sua madre le aveva ripetuto che le sue capacità le erano state conferite dal diavolo, le parole le si erano bloccate in gola un’infinità di volte. Ma la dottoressa Applewhite si era mostrata entusiasta, e per nulla spaventata, di scoprire le capacità di Zoe. Da quel momento in poi, il loro legame si era sempre più consolidato.

“Cosa ne pensi della dottoressa Monk?” domandò la dottoressa Applewhite con uno sguardo sornione, dopo che Zoe aveva fatto la sua ordinazione. “Mi ha detto che hai ascoltato il mio consiglio.”

Zoe non riuscì a trattenere una risatina. “Mi sta tenendo d’occhio?”

“Tengo sempre d’occhio i miei preferiti,” rispose ridendo la dottoressa Applewhite. Era una battuta continua tra loro due. Ovviamente, la dottoressa Applewhite non avrebbe dovuto avere preferiti. Ma, per molti versi, Zoe aveva contribuito alla carriera della sua mentore tanto quanto lei aveva messo Zoe sulla strada della propria. La dottoressa Applewhite aveva finito per specializzarsi nello studio della sinestesia in relazione alla matematica, e ora faceva da mentore a molte altre persone che avevano le stesse capacità di Zoe. Più o meno, insomma.

“Le sedute stanno andando bene,” riconobbe Zoe. “La dottoressa Monk è decisamente in gamba. Posso capire per quale motivo le piaccia.”

“Ha una reputazione molto buona. C’è qualche progresso che desideri condividere con me? O è tutto troppo personale?”

Zoe scrollò le spalle, analizzando i cinque centimetri d’acqua nel fondo del vaso collocato sul loro tavolo, che non sarebbero bastati a sostentare a lungo gli steli dei due crisantemi. Le stime mentali del tempo necessario perché appassissero del tutto la distrassero abbastanza da permetterle di rivelare i suoi pensieri. “Ha detto che dovrei andare a più appuntamenti.”

La dottoressa Applewhite sorrise di cuore, la sua fede nuziale scintillò alla luce del sole quando portò la tazza di caffè alle labbra. “Potrebbe avere ragione.”

“In realtà, non credo sia la soluzione a tutti i miei problemi,” sbuffò Zoe, bevendo a sua volta un sorso del proprio caffè, appena portato dal cameriere.

“Forse non a tutti gli appuntamenti, ma a qualcuno,” rispose la dottoressa Applewhite, ora con un tono serio. “Non sto dicendo che dovresti sentirti in colpa per quella che sei. Sei efficiente, anzi molto più di questo. E hai trasformato le tue doti in un vantaggio per il tuo lavoro. Gli altri non sono in gamba quanto te. Ma lo sai, mi preoccupo per te.”

Zoe annuì. “La ringrazio,” disse. Pensò che, a conti fatti, la dottoressa Applewhite potesse essere l’unica persona al mondo a tenere davvero a lei. Era di conforto avere almeno una persona.

Prima che potesse concludere questa riflessione, e persino arrivare a considerare seriamente il consiglio di chiamare John, il suo cellulare squillГІ. Zoe lo tirГІ fuori dalla tasca e rispose alla chiamata, vedendo il nome di Shelley sul display.

“Agente Speciale Zoe Prime.”

“Ehi, Z. Spero tu non stia facendo niente di bello al momento.”

Zoe sospirò, guardando il proprio piatto ancora mezzo pieno. Non che l’avesse davvero assaporato, con la mente impegnata in altre cose. “Immagino che abbiamo un caso.”

“Vediamoci al Quartier Generale tra mezz’ora. Il comandante dice che si tratta di una cosa grossa.”

Zoe rivolse alla dottoressa Applewhite un sorriso dispiaciuto, ma la dottoressa la stava già congedando. “Mettiti al lavoro, Agente. Ma c’è un’ultima cosa che devo dirti …” La dottoressa Applewhite esitò, facendo un respiro profondo. Sembrava riluttante a parlare, ma proseguì, lo sguardo rivolto al piatto di Zoe. “Uno del mio gruppo di ricerca, un altro sinestesico. Pensavamo stesse migliorando, ma … Mi dispiace dirlo, si è ucciso la settimana scorsa. Senza una rete di supporto, a parte me, era in difficoltà. Le persone hanno bisogno di avere attorno altre persone che le aiutino emotivamente. Tutti ne abbiamo bisogno. Anche quelli che pensano in modo un po’ diverso.”

Zoe fece una pausa, fissando la tazza di caffè e i diversi millimetri di liquido che mancavano perché fosse riempita in modo sufficiente, e si appoggiò allo schienale della sedia. Non aveva mai conosciuto nessuno del “gruppo di ricerca” della dottoressa Applewhite, le cavie, come li chiamava nella sua mente quando era scortese, ma ciononostante fu un colpo sentire questa notizia. Qualcuno come lei, che aveva preferito morire per l’unica ragione di essere esattamente come lei. Era decisamente un brutto colpo.

Raccolse meccanicamente la borsa, allontanandosi senza prestare attenzione a nulla attorno a sГ©. Stava rielaborando il tutto nella sua mente. Ripensava ai commenti della dottoressa Monk. Lavora per raggiungere i tuoi obiettivi. Un passo alla volta.

Cosa ha avuto davvero nella sua vita? Una mentore, che per lei è stata la cosa più simile a una figura materna. Una partner, Shelley, che invece rappresentava la cosa più simile a un’amica. Due gatti, Eulero e Pitagora che, nonostante amasse, sapeva che sarebbero stati altrettanto bene se lei fosse sparita e ci fosse stato qualcun altro a prendersi cura di loro. Una carriera che sembrava essere in crisi più che in crescita, nonostante questo fosse uno dei momenti migliori. Un piccolo appartamento tutto per lei.

E un disturbo, o un’abilità, o in qualsiasi modo la si voglia chiamare, che la rendeva così diversa da portare le persone come lei a suicidarsi.

Era un pensiero piuttosto sconfortante.




CAPITOLO TRE


Zoe percorse a passo svelto i corridoi del vasto edificio del Quartier Generale dell’FBI a Washington, DC, dirigendosi verso la sala riunioni in cui Shelley aveva detto che l’avrebbe aspettata. Edifici del genere erano rilassanti per Zoe: costruiti un bel po’ di tempo fa, ma con la precisione e la pianificazione necessarie perché ciascun piano fosse facile da capire e da percorrere.

Il J. Edgar Hoover Building era stato costruito con questa intenzione. Sebbene dall’esterno apparisse squadrato e grigio, il tipo di architettura che la gente di solito descriveva come un pugno nell’occhio, la struttura geometrica e a blocchi era esattamente ciò che piaceva a Zoe. I corridoi si ramificavano nello stesso identico modo, indipendentemente dal piano, e le stanze erano numerate in modo logico. La stanza 406, quindi, era naturalmente la sesta stanza del quarto piano. Questo era incommensurabilmente piacevole. Non tutti gli edifici erano stati realizzati in questo modo.

Come previsto, Shelley era giГ  seduta nella sala riunioni, intenta a esaminare appunti e fotografie a colori disposti a intervalli precisi su un tavolo da sala convegni. AlzГІ lo sguardo e sorrise quando vide entrare Zoe.

Zoe non riusciva a capire come Shelley, con una figlia piccola a casa e senza particolari vantaggi in termini di distanza dalla propria abitazione, potesse arrivare prima di lei al Quartier Generale. E poi il fatto che riuscisse a indossare appropriatamente un abito adatto alla sua costituzione sinuosa ma slanciata, accentuando gli angoli tra i fianchi e la vita e il seno, senza un granello della solita sporcizia che ci si aspetterebbe di accumulare avendo in casa un bambino. E come fosse perfettamente truccata, con un leggero accenno di rossetto color rosa sulle labbra e i capelli biondi legati in un elegante chignon. Eppure, eccola lì.

Il loro superiore, l’Agente Speciale al Comando Leo Maitland, in piedi davanti alla stanza, aspettava con l’impazienza scattante di un giaguaro a caccia. Era un veterano dell’esercito con un portamento da soldato, e dopo aver scalato con successo i ranghi, era tornato a casa per passare alle forze dell’ordine. Quello era stato quindici anni fa, ma i capelli brizzolati che punteggiavano le sue tempie non suggerivano assolutamente che fosse meno del combattente che era stato un tempo. Era alto un metro e novanta centimetri, con un petto di un metro e bicipiti di trentotto centimetri che ancora premevano sui bordi della sua uniforme.

“Ah, Agente Speciale Prime,” disse. “Benvenuta. Ho consegnato gli appunti di riunione alla sua partner. Prego, si sieda e dia loro un’occhiata.”

Zoe si mise a sedere come le era stato ordinato, posando un caffГЁ da asporto davanti a Shelley. Era diventata una loro abitudine. Zoe provvedeva al caffГЁ e Shelley ai convenevoli necessari durante il caso. Ciascuna di loro si occupava di qualcosa che avrebbe potuto gestire con successo.

“L’Agente Speciale Rose conosce tutti i dettagli, ma le farò un riassunto. Abbiamo già due cadaveri per le mani, e questo sembra un caso locale, quindi non ci sarà bisogno di spostarsi.” Maitland incrociò le braccia al petto, provocando una deformazione visibile del tessuto della sua uniforme all’altezza delle spalle. “La stampa locale ci metterà un po’ sotto pressione, in quanto una delle vittime era una personalità di spicco nella comunità. Sicuramente, comprenderete anche l’urgenza di prevenire una terza morte e la necessità di evitare che i giornalisti usino il termine “serial killer”.”

Zoe annuì. Quel genere di riferimento avrebbe potuto causare isteria e avrebbe finito con l’ostacolare il caso. Inoltre, avrebbe fatto spargere ulteriormente la voce, attirando ancora di più l’attenzione della stampa nazionale o persino internazionale. Gli agenti dell’FBI erano abituati a gestire le situazioni stressanti, ma ciò non voleva dire che fossero le benvenute. Soprattutto per Zoe, che avrebbe contato i microfoni e analizzato le lunghezze dei cavi delle telecamere piuttosto che concentrarsi sul discorso in conferenza stampa.

“Considerato il suo ritardo …” continuò Maitland. Zoe sentì la propria bocca iniziare ad aprirsi per protestare, ma la serrò. Stamattina si era organizzata per avere un po’ di tempo libero per il suo brunch, in cambio delle molte, moltissime ore di straordinari non retribuiti. Era di poco in ritardo. Ma non si discuteva con l’Agente Speciale al Comando del J. Edgar Hoover. “Ho già ragguagliato la sua partner. Lascerò a lei il compito di dispensarle i dettagli. Considerata la sua propensione per la matematica, pensiamo possa essere un caso perfetto per le sue capacità. Non mi deluda.”

Maitland uscì dalla stanza senza guardarsi indietro. Zoe vide la sua mano spostarsi immediatamente verso la tasca mentre lasciava la stanza, e immaginò che il rigonfiamento di un centimetro di spessore fosse probabilmente un cellulare. Era un uomo occupato, con chiamate da fare e altre riunioni alle quali partecipare. Non lo avrebbero rivisto spesso fino alla chiusura del caso, a meno che, ovviamente, non avessero incasinato le cose, nel qual caso si sarebbe abbattuto su di loro come la proverbiale tonnellata di mattoni.

Anche se, considerata la sua taglia e il fatto che una tonnellata fosse composta da mille chili, Maitland non era affatto paragonabile a una tonnellata di mattoni. Piuttosto, a un decimo di quel valore.

“Due vittime,” disse Shelley, attirando l’attenzione di Zoe senza troppi giri di parole. Stava iniziando a conoscere meglio Zoe e ormai doveva aver capito che le chiacchiere non avrebbero apportato alcun beneficio al loro rapporto. Zoe aveva notato una riduzione di almeno il 70% dei convenevoli da quando avevano iniziato a lavorare insieme. “Entrambe a casa nostra. L’area metropolitana di Washington.”

“Spero non sia successo davvero nelle nostre case. Come agenti federali, sarei portata a pensare che avremmo dovuto accorgercene.”

Shelley si voltò stupita verso Zoe, dandole un colpetto nel fianco. “Era una vera battuta? Cosa c’era nel caffè?”

“Mi sono incontrata con una vecchia amica, stamattina. Suppongo mi abbia messo di buon umore.”

“In questo caso, mi dispiace rovinarti la giornata.” Shelley indicò i fascicoli delle due vittime, accuratamente distribuiti e separati. “Questa è la prima vittima, risale a circa una settimana fa. Era un giovane studente universitario, ritrovato all’interno del campus della Georgetown. La sua testa è stata sfondata con un oggetto pesante, probabilmente una mazza, secondo la scientifica.”

“Sei giorni,” mormorò Zoe, i suoi occhi esaminavano dettagliatamente il fascicolo. Individuò le informazioni del ragazzo: era alto un metro e ottantatre centimetri, pesava circa ottantadue chili e aveva ventitre anni.

“Sì, scusami.” Era evidente che Shelley si stesse ancora abituando alla precisione desiderata da Zoe, anche se per loro era facile andare d’accordo in altri modi. “La seconda vittima risale a ieri sera. Un professore di Inglese della Georgetown, la sua testa è stata ripetutamente sbattuta contro la fiancata della sua stessa auto fino a quando non gli è stato inflitto un trauma cranico irreversibile.”

“Il college è il collegamento.”

“Non solo quello.” Shelley riordinò le fotografie, tirando fuori scatti che mostravano la totalità della scena del crimine. “A entrambi sono state strappate le camicie, e intendo strappate con una certa violenza. Sembra che all’assassino non bastasse ucciderli per soddisfare la propria rabbia. Poi ci sono questi … beh, guarda tu stessa.”

Zoe tolse bruscamente le immagini dalle mani di Shelley. Aveva già iniziato a riconoscere la forma dei segni scarabocchiati sul torace di entrambi gli uomini, e un’occhiata più attenta glielo confermò. L’assassino aveva scritto equazioni matematiche complesse, talmente complesse che Zoe prese una poltrona e si lasciò cadere sopra senza neanche distogliere lo sguardo dalle foto.

“Queste sono state mostrate a potenziali testimoni? Amici, docenti, studenti?”

“Nel caso della prima vittima, sì. La polizia locale ha mostrato in giro le immagini. Ovviamente, con gli adeguati ritagli alle sole equazioni. Hanno appena terminato di far circolare l’altro scatto questa mattina, ma suppongo che potremmo essere in grado di tirare fuori qualche altro indizio.”

“E?”

Shelley scrollò le spalle. “Nessuno sa cosa vogliano dire.”

Zoe sapeva piuttosto bene che il dipartimento di matematica della Georgetown disponeva di un buon team di professionisti, e che se anche loro non erano stati in grado di capirne il significato, voleva dire che si trattava di una qualche sorta di equazione piuttosto seria. “Sembra matematica quantistica.”

“Questo è ciò che hanno detto alcuni professori. Ma non le riconoscono, nessuno di loro ha mai lavorato né visto niente del genere finora.”

Zoe continuò a fissare le equazioni, i suoi occhi esaminavano tutti i complessi simboli, numeri e lettere, cercando quantomeno di trovare un punto d’accesso allo schema. “Quali altri indizi abbiamo?”

Shelley sfogliò qualche altra pagina. “Ero arrivata proprio a quel punto quando sei arrivata. Vediamo … i coinquilini e gli amici dello studente sono stati tutti interrogati, come anche la sua famiglia e il personale docente. Era in un’area del campus non coperta da telecamere, proprio in un punto cieco.”

“Perfetto,” sospirò Zoe. Desiderava che, almeno per una volta, mettessero le mani su un caso commesso alla luce del sole, con tanto di testimoni o inquadrature da parte delle telecamere di sorveglianza. Ovviamente, l’FBI non veniva interpellato quando i casi erano così facili da risolvere.

“Per quanto riguarda il professore, pare ci fossero telecamere soltanto all’ingresso del parcheggio. Da quel punto entrano ed escono così tante persone tutto il giorno, e noi non abbiamo uno straccio di filmato su una delle uscite pedonali. Nulla di sospetto catturato dalla telecamera.”

“Neanche un indizio,” constatò Zoe, appoggiando il mento sulla mano mentre esaminava l’equazione già per la diciassettesima volta. Più lentamente, più velocemente, non faceva molta differenza. Non somigliava a nulla in cui si fosse mai imbattuta. Ben oltre il livello che aveva studiato durante il suo periodo al college.

Passò all’altra vittima, il professore. Sembrava esattamente la stessa cosa. Ma quello cos’era?

“Cosa vuoi fare prima?” domandò Shelley, una volta terminato a sua volta di esaminare i fascicoli.

“Dammi un secondo.” Zoe non aveva ancora dato un’occhiata ai dettagli della seconda vittima, ma c’era tempo per quello. Tirò fuori il taccuino e una penna e iniziò a scrivere, facendo solchi rapidi e nitidi sulla pagina mentre iniziava a delineare una bozza. Lettere greche, linee, parentesi, triangoli con il vertice rivolto verso il basso: tutti i simboli in matematica quantistica avevano un significato equivalente in grado di rivelare un numero. M diviso per t” meno t’, uno diviso per s’ e quindi sommato a uno diviso per s”, e via dicendo, il tutto per trovare il valore di B


da inserire, in seguito, in un’altra riga dell’equazione per trovare il valore di un’altra figura.

Le operazioni iniziarono piuttosto facilmente. Se il valore di M era uguale a quello di r’, allora le prime due righe avevano perfettamente senso; ma poi la terza mandava tutto a monte, e sembrava restituire un valore totalmente diverso per M. Va bene, andava risolta in un altro modo. Forse M era, in realtà, il doppio del valore di r’, che aveva ancora abbastanza senso e faceva funzionare la terza riga; ma entro la sesta riga, il valore di M doveva raggiungere zero, e di nuovo non aveva alcun senso.

Zoe rialzГІ lo sguardo senza avere idea di quanto tempo fosse trascorso. Ad un certo punto, Shelley si era seduta di fronte a lei e stava guardando qualcosa sullo schermo del cellulare.

“Non ha alcun senso,” disse Zoe.

Shelley alzò lo sguardo, sollevando un sopracciglio accuratamente modellato. “Non riesci a risolverle?”

Le labbra di Zoe si disposero a formare una linea piatta prima che potesse ammetterlo. “Non ci riesco ancora,” rispose. “Forse ci manca qualche sorta di indizio. Questo è proprio tutto? Non c’era nient’altro scritto sulle loro schiene, sulle braccia o da qualche altra parte?”

“Ne so quanto te,” disse Shelley. “Mi stavo documentando sul professore. Non emerge niente dalla sua storia accademica, né dalle informazioni sulla sua vita privata reperibili online.”

“Ricontrolla le foto,” suggerì Zoe, passandole un mazzetto e prendendone alcune per sé. Studiò attentamente gli scatti, i suoi occhi guardarono le angolazioni delle ossa, il grado al quale una gamba era piegata nel rigor mortis, la lunghezza degli strappi sulle loro camicie rispetto alla forza evidente del materiale e delle cuciture. Non riusciva a vedere collegamenti. Altezza, peso, età, era tutto diverso; e non c’era nessuna ulteriore traccia di inchiostro distribuito sulla pelle.

La cosa preoccupante, ovviamente, era che gli schemi matematici diventavano più facili da prevedere all’aumentare dei dati a disposizione. Due numeri potevano sembrare non collegati; troppe possibilità per scegliere una direzione precisa. Ma tre numeri, beh … con tre numeri era possibile mettere da parte la casualità, costruire una relazione, una formula. Ma per quello sarebbe stato necessario un altro omicidio.

E loro sicuramente non volevano niente del genere.

“Non ho nulla,” disse Shelley, scuotendo la testa.

“Scambiamocele,” consigliò Zoe, porgendo il suo mazzetto di foto e prendendo quello di Shelley. “L’unica cosa rilevante è l’angolo di impatto della testa della prima vittima. L’aggressore era un po’ più basso, probabilmente un metro e settantacinque.”

Stesso risultato, stessa frustrazione. Nessuna traccia di inchiostro sui vestiti, nessuna sbavatura dei numeri sotto il tessuto, niente nelle vicinanze, in generale. Le piazzole del garage non erano numerate e non c’erano numeri sui muri, sui pilastri di cemento che reggevano il soffitto, sull’erba in prossimità della quale era stato ritrovato lo studente.

Niente.

Zoe si arrese, scuotendo il capo. “Devo vedere il cadavere del professore,” disse. “È l’unico modo che abbiamo per individuare qualcosa che le foto non ci hanno ancora detto.”

“Grandioso,” disse Shelley. Probabilmente era sarcastica; Zoe aveva sempre avuto difficoltà a capire la differenza. “Allora andiamo a dare un’occhiata da vicino ad un tizio morto.”




CAPITOLO QUATTRO


Zoe batteva le dita sul volante mentre si dirigevano verso l’ufficio del medico legale del posto, guardando Shelley di sbieco. C’era qualcosa a proposito di questo caso che già la infastidiva, e doveva dare voce ai dubbi che si stavano insinuando nella sua testa prima che iniziassero a tormentarla. “Strano che Maitland sapesse che desideravo lavorare su un caso con componenti matematiche. Non gli avevo mai detto che mi piace lavorare con i numeri.”

Shelley si schiarì leggermente la voce, evitando di voltarsi per non incontrare lo sguardo della sua partner. “Beh, sono stata io a proporci per questo caso. Mi è capitato di sentirne parlare e il comandante ha accettato che ce ne occupassimo noi.”

Zoe metabolizzò per un istante. Solitamente non otteneva le cose dal suo capo soltanto chiedendole. “Solo questo? Non hai avuto bisogno di convincerlo?”

Shelley stava giocherellando con il pendente che indossava, una freccia d’oro con un diamante incastonato che aveva ereditato da sua nonna, girandolo tra le dita. “Gli ho detto che, dato che sei brava in matematica, saremmo state in grado di occuparcene meglio rispetto a chiunque altro.”

Zoe resistette all’istinto di pigiare sui freni, tenendo l’auto costante e regolare. Si concentrò sulla strada fino a quando il frastuono nella sua mente non si affievolì, e parlò consapevolmente e in modo calmo. “Gli hai detto che sono �brava in matematica’?”

“È tutto quello che gli ho detto, lo giuro. Non gli ho raccontato la verità. Sai, quella riguardante ciò che sai fare.”

Shelley sembrava dispiaciuta, ma non abbastanza da allontanare il fragore dalle orecchie di Zoe. Brava con la matematica. Era piuttosto simile alla verità, troppo per essere tranquillizzante. Si trattava quasi di un’ammissione.

Forse aveva commesso un gravissimo errore a credere che Shelley non avrebbe rivelato il suo segreto. Ma la sua partner aveva giurato, così tante volte, che non l’avrebbe detto a nessuno senza il permesso di Zoe. Sebbene tecnicamente non l’avesse fatto, ci era andata vicino. Troppo vicino.

“Ascolta, scusami, ok?” chiese Shelley. Il suo tono di voce si era alzato, adesso. “Mi dispiace davvero se non volevi che lo dicessi, ma si tratta soltanto di una piccolissima parte del modo in cui le cose stanno davvero. Non è il quadro completo. E chiunque può essere bravo in matematica, no? Non ti rende così tanto diversa.”

Le dita di Zoe si strinsero al volante, in modo talmente forte che l’impugnatura di gomma fece un leggero rumore, e irrigidì la mascella. “Non spettava a te dirglielo.”

“Ho solo … non credevo sarebbe stato un grosso problema dirlo a questa maniera.” Shelley sospirò, appoggiandosi al poggiatesta del sedile del passeggero. “Ho fatto un casino, lo capisco adesso. Mi dispiace. Ma dopo che hai risolto il nostro grande caso in Kansas, di sicuro avrebbero capito comunque che sei brava con i numeri. So che non posso dirlo a nessuno, e non voglio assolutamente farlo, ma non capisco perché tu senta il bisogno di doverlo nascondere.”

Zoe strinse i denti. Era ovvio che Shelley non capisse. Shelley non si era trovata in quella situazione. Non era stata costretta a pregare ai piedi del letto, sul pavimento freddo, tutta la notte, con sua madre che urlava e le faceva sermoni a proposito dei doni del diavolo. Non era stata rimproverata a scuola per la sua distrazione, o derisa ed emarginata dagli altri bambini per le cose inquietanti che riusciva a capire soltanto con uno sguardo.

Non aveva vissuto tutte le relazioni fallite di Zoe, che più e più volte si era sentita incompresa ed era rimasta a mani vuote, con l’etichetta di “schizzata” e il cuore sempre più infranto.

“Spetta a me scegliere se rivelare o meno il mio segreto,” disse con fermezza, non appena il suo cuore rallentò abbastanza da permetterle di dire le parole piuttosto che sputarle. Shelley, dal canto suo, ebbe la saggezza di evitare qualsiasi risposta.

Accostarono fuori l’ufficio del medico legale e Zoe sbatté la portiera dell’auto dietro di sé, incamminandosi verso l’entrata. Poi si fermò. Non sarebbe stato affatto utile proseguire con questo tipo di energia addosso. Doveva dimenticare la questione, riporla in un cassetto della propria mente e tornarci in seguito. Per ora, doveva comportarsi in modo professionale.

Il medico legale, una snella donna asiatica di circa quarantacinque anni, con uno sguardo acuto e capelli a caschetto tagliati a novanta gradi rispetto al suo mento, era abbastanza cortese. MostrГІ loro il cadavere del professore, e si allontanГІ rispettosamente mentre le due donne conducevano il loro esame.

Disteso nudo sulla barella metallica, l’uomo era ridotto ad un pezzo di carne bianca. Una volta tolto il lenzuolo, fu difficile per Zoe connettere e tenere uniti i collegamenti tra questo corpo di carne morta e l’uomo che era stato un tempo. Chiunque fosse, era andato via da tanto. Riusciva ancora a vederlo, nei polpastrelli ingialliti che indicavano il vizio del fumo e nel piccolo solco dello spessore di un centimetro sull’orecchio sinistro, frutto di anni trascorsi a indossare occhiali della misura sbagliata. Ma l’essenza, lo spirito, qualsiasi cosa avesse riempito e animato questo corpo, era scomparsa nel nulla.

Era meglio così. Le persone la distraevano. Nascondevano il loro vero io dietro parole e gesti che non sempre riusciva a capire. Ma i cadaveri non mentivano. Erano così com’erano, niente di più e niente di meno.

Non colpì, ovviamente, il fatto che la sua faccia fosse sparita. Fracassata. Il naso era stato ridotto a una superficie interamente piatta sul volto, tutte le protuberanze e le forme ormai schiacciate verso la parte interna del suo cranio. Il lato destro della testa era anche rotto e schiacciato, caratterizzato da evidenti linee d’impatto. Nessuno sarebbe sopravvissuto a quelle ferite. Persino uno dei suoi occhi era sparito.

L’equazione era lì sul suo torace, scritta obliquamente dalla parte superiore del petto ad appena sotto l’ombelico. Era tutto come appariva nelle foto: l’intera zona era stata inquadrata fedelmente. Indossando scomodi guanti bianchi monouso, Zoe girò le braccia e le gambe, e lo sollevò persino di fianco con l’aiuto di Shelley. Non riuscirono a vedere altre tracce di inchiostro da nessuna parte, né qualsiasi altro segno che potesse suggerire di essere una parte mancante dell’equazione.

“Non hanno tralasciato nulla,” disse Shelley ad alta voce, confermando la frustrazione che stava crescendo nel cuore di Zoe.

“L’altro.” Zoe si girò verso il medico legale. “Dobbiamo vedere anche lo studente.”

Il medico legale scrollГІ le spalle, facendo intendere che lo ritenesse inutile, e andГІ ad aprire un altro scomparto della cella frigorifera che fungeva da tomba temporanea. Fece scivolare il carrello con un prolungato rumore di metallo ben oliato, e si fece da parte per permettere loro di accedere al corpo.

Lo studente sembrava persino più giovane rispetto alle fotografie, steso sulla fredda barella di metallo con tutto il sangue risucchiato dalle guance insieme all’incarnato. La parte superiore della sua testa era un disastro, spaccata e schiacciata verso l’interno. Era rispettosamente coperto da un lenzuolo, ma il rispetto era soltanto un ostacolo in questo caso. Zoe si avvicinò e lo spostò di lato, notando la riluttanza di Shelley a farlo.

Per un lungo secondo, Zoe lo fissò, incapace di comprendere cosa stesse guardando. Quindi pensò brevemente che avessero tirato fuori il cadavere sbagliato, ma aveva riconosciuto la sua faccia dalle foto della scena del crimine. Alla fine, prevalse l’incredulità, e lei si voltò verso il medico legale, rivolgendole un’occhiataccia che la fece indietreggiare.

“Dove sono le equazioni?” chiese Zoe con un tono basso e piatto, abbastanza minaccioso da rivelare la rabbia che si celava dietro.

“Beh, abbiamo condotto l’autopsia,” balbettò il medico legale, cercando un tavolo di metallo alle sue spalle per reggersi. “Laviamo sempre i cadaveri prima di iniziare.”

“Avete cancellato le prove.”

Shelley si avvicinГІ per posare con delicatezza una mano sul braccio di Zoe, forse per avvertirla di calmarsi. Zoe ignorГІ il gesto. Stava ribollendo, ogni muscolo del suo corpo voleva esplodere in una scarica di energia e tirare qualcosa contro la parete. Forse persino contro il medico legale.

Non lo fece soltanto perché andava chiaramente contro l’etica professionale. Come avevano potuto permettere che accadesse qualcosa del genere?

“Chi ha autorizzato il lavaggio?” domandò Shelley con un tono calmo e tranquillo. Si fece avanti, superando leggermente Zoe, come per proteggerla.

Il medico legale armeggiò alla ricerca dei documenti balbettando, impallidita. Zoe non ne poteva più. Uscì dalla stanza trattenendo in gola un ruggito, sbattendo la porta dietro di sé per buona misura. Essendo una porta a battente, il gesto perse una parte del suo effetto, ma liberò ugualmente un po’ di tensione dal suo corpo.

Shelley la raggiunse un paio di minuti piГ№ tardi, trovandola a camminare avanti e indietro in fondo al corridoio.

“Dovremmo far loro rapporto per manomissione delle prove,” disse Zoe, non appena Shelley si avvicinò abbastanza da sentirla.

“Faceva parte delle loro istruzioni,” sospirò Shelley, scrollando le spalle. “Il fotografo era sicuro che avessero colto tutto. Possiamo soltanto credere alla loro parola.”

“Dovrebbero comunque essere sanzionati. Non hanno un minimo di buon senso. Era chiaramente una prova. E gli investigatori principali non avevano ancora visto il cadavere!”

“Beh, a dire il vero, questo era un caso locale quando hanno effettuato l’autopsia, non un caso federale. Ma quello che è fatto è fatto. Dobbiamo lavorare con quello che abbiamo in mano.”

Shelley si stava comportando in modo razionale, troppo razionale. A Zoe non piacque il suo atteggiamento. Lei voleva una giustificazione per la frustrazione che provava, maledizione, un sentimento in comune tra loro due. Odiava quando la facevano sentire come se fosse la maniaca della situazione. Le cose che venivano fatte in modo sbagliato erano un problema. Le persone avrebbero dovuto svolgere il lavoro per il quale venivano pagate. È così che funzionava la società.

“Una cosa del genere avrebbe dovuto essere chiaramente importante,” disse Zoe, facendo un ultimo tentativo per indurre Shelley ad arrabbiarsi.

Non le riuscì. “Dobbiamo comunque andare avanti,” rispose Shelley, dirigendosi fuori e guardando indietro per assicurarsi che Zoe la stesse seguendo. “Ora dovremmo andare a parlare con la moglie del professore?”

Zoe annuì, arrendendosi. Forse stava reagendo in maniera esagerata. Le era stato detto che avrebbe potuto farlo, di tanto in tanto.

C’era altro in questo caso, oltre alle prove fisiche sui cadaveri. Ovvio, la matematica era allettante, così come lo era il bersaglio di una rispettata università. Ma c’era sempre un’altra storia da ascoltare dalle famiglie delle vittime, le persone che le conoscevano.

Forse la signora Henderson sarebbe stata in grado di gettare una luce sulla morte di suo marito, e far sì che questo caso frustrante venisse risolto il prima possibile.




CAPITOLO CINQUE


Shelley occupò il sedile del guidatore, un evento raro quando andava in auto con la sua partner. Shelley sapeva che Zoe solitamente aveva mal d’auto, ma oggi era talmente concentrata sulle sue equazioni che sembrava notare a stento la strada. Non stava neanche stringendo la cintura di sicurezza, il suo consueto segnale di disagio.

Shelley le rivolgeva uno sguardo ogni volta che ne aveva la possibilitГ , quando era in attesa agli incroci o ferma nel traffico. Quello che Zoe stava scarabocchiando freneticamente su diverse pagine del suo taccuino non aveva alcun senso per lei. Avrebbero potuto benissimo essere geroglifici.

Zoe aveva un vero dono quando si trattava di numeri, ma c’era anche il rovescio della medaglia. A volte, come ora, poteva prendere il controllo un’ostinata ossessione. Per quanto Shelley volesse esserle d’aiuto, non aveva idea di cosa fosse necessario, e Zoe non aveva intenzione di dirglielo. Lei era così, anche piuttosto spesso. Silenziosa, chiusa. Shelley aveva sentito delle voci a proposito dei suoi precedenti partner, e non le fu difficile dedurre che, nella sua mente, forse Zoe aveva smesso di fidarsi delle persone un sacco di tempo fa.

Zoe era abituata a lavorare da sola. Se fosse dipeso da lei, Shelley l’avrebbe cambiata. Ma ci sarebbe voluto un sacco di tempo per farlo. Nel frattempo, avrebbe dovuto continuare a incitarla e a ricordarle di condividere le sue riflessioni.

Ecco, magari non quelle relative alla matematica. Shelley poteva lasciare che Zoe lavorasse da sola con la matematica.

Il professore di Inglese viveva dall’altra parte della città, in uno dei quartieri più lussuosi, case dipinte di bianco con larghi giardini e steccati altrettanto bianchi. Shelley parcheggiò in strada, spegnendo il motore, e attese che Zoe capisse che erano arrivate.

Lei non alzГІ neanche lo sguardo.

C’erano volte in cui Shelley sentiva di doversi muovere con attenzione accanto a Zoe, gestirla con estrema cautela. Come se fosse una bambina. Il che era in un certo modo ironico, dato che Shelley trascorreva tutto il suo tempo a casa a fare il genitore. Non erano poche le volte in cui sentiva di fare la stessa cosa al lavoro, nonostante Zoe fosse più grande di lei.

“Ci siamo,” disse delicatamente Shelley, per non far trasalire Zoe dai calcoli sui quali stava lavorando.

La penna di Zoe esitò a mezz’aria, e finalmente alzò lo sguardo. Sembrava sorpresa di essere altrove rispetto al parcheggio dell’ufficio del medico legale. “Devo solo finire …”

Shelley inarcò un sopracciglio. “Z, ci vogliono meno di due minuti a finire? Altrimenti forse dovremmo entrare e parlare con la moglie del professore, e tornare più tardi sulle equazioni.”

Zoe sospirò rumorosamente, ma sembrò acconsentire. Mise via il suo quadernetto, riponendolo in una tasca, e uscì dall’auto, cosa che Shelley prese come segnale per fare lo stesso. Rielaborò la sua precedente riflessione: avere a che fare con Zoe non era esattamente come avere a che fare con un bambino. A volte era più simile a un’adolescente scontrosa.

La signora Henderson sembrava aspettarle, o quantomeno sembrava aspettare qualcuno. Indossava un appropriato vestito scuro a fiori, i colori tenui trasmettevano quello che stava vivendo. I suoi occhi erano arrossati, ma aperti e acuti, e valutarono Shelley e Zoe in pochi istanti quando si incontrarono alla porta.

“Sono l’Agente Speciale Shelley Rose, e lei è l’Agente Speciale Zoe Prime. Vorremmo entrare e parlare di suo marito, signora Henderson.”

La donna annuì, invitandole a entrare, spostandosi per chiudere la porta dopo il loro ingresso. La casa era arredata in stile classico sobrio, tutta in legno scuro, con comodi cuscini e copriletto. La signora Henderson le fece accomodare in salotto, dove Shelley accettò con gratitudine l’offerta di caffè per conto suo e di Zoe.

“La sta prendendo piuttosto bene,” mormorò Shelley, dando un’occhiata all’ambiente in cui si trovavano. Era ordinato, non un singolo oggetto fuori posto. Niente polvere sul basso tavolino con ripiano in marmo o sulla scura credenza appesantita da ricordi e cianfrusaglie. Diversi frutti  erano collocati in una ciotola brunita al centro del tavolo. Sembrava più un set televisivo che una casa davvero abitata.

Forse il modo della signora Henderson di affrontare il lutto era pulire e riordinare la casa, prepararla ad accogliere ospiti. Non sarebbe stata una cosa del tutto insolita. Shelley l’aveva già visto fare prima. Era collegato al rifiuto: il pensiero che se si fosse semplicemente assicurata che tutto fosse perfetto, suo marito avrebbe potuto fare ritorno a casa come se niente fosse successo.

Anche le faccende rimandavano il dolore.

Sul caminetto c’era una fotografia incorniciata: il professore e sua moglie, in tempi più felici. Shelley la guardò e cercò di non vederci l’orribile disastro nel quale si era trasformata la testa del professore.

“Diciassette statuette,” mormorò Zoe. Shelley seguì il suo sguardo verso la credenza e capì che Zoe stava facendo ciò che le riusciva meglio: cercare i numeri. In questo caso, comunque, i numeri avevano già assunto un nuovo significato. Stava cercando un indizio che avrebbe portato a un passo avanti con le equazioni.

La padrona di casa tornò dopo appena qualche minuto, portando un vassoio con tre tazze di caffè caldo. Il delicato design della porcellana della tazza della signora Henderson era bilanciato dalla semplice praticità delle altre due. Due differenti personalità, che si riflettevano nei contenuti di una casa. E forse un’indicazione che i visitatori che aveva ricevuto oggi non erano degni della porcellana migliore.

“Deve essere stato scioccante per lei,” disse Shelley, sollevando la sua tazza e soffiando delicatamente sulla superficie del caffè prima di sorseggiarlo. Domande o affermazioni come questa, aperte e invitanti, spesso stimolavano le persone a fornire maggiori informazioni. Il tipo di informazioni che altrimenti non sarebbe neanche pensabile chiedere.

“Oh, sì.” La signora Henderson sospirò profondamente, sistemandosi sulla poltrona che doveva essere stato il suo posto abituale. “Quasi non riesco ancora a crederci. Il mio Ralph, morto, all’improvviso. E così violentemente, poi. Non voglio neanche immaginarlo.”

“Le viene in mente un motivo dietro un tale livello di violenza, signora Henderson?”

La donna chiuse brevemente i suoi occhi, portando una mano alla fronte. Indossava ancora una semplice fede nuziale dorata, insieme a un più elaborato insieme di piccoli brillanti. Forse un anello di fidanzamento, vecchio di decenni. “All’inizio ho pensato volessero rubare qualcosa. La sua auto o il portafogli. Ma la polizia ha detto che non manca niente.”

“Gli psicologi ci hanno riferito la presenza di tracce di una forte rabbia sulla scena del crimine. Quel genere di rabbia che, beh, solitamente deriva dal conoscere qualcuno personalmente. Le viene in mente nessuno? Qualcuno che potesse avercela con suo marito, abbastanza da fargli del male?”

La donna tirò fuori un fazzoletto ricamato per asciugare i suoi occhi, la mano con l’anello si alzò per spostare una ciocca dei suoi capelli castano chiaro. “Non mi viene in mente nessuno. Insomma, Ralph era … era Ralph. Non ha mai fatto del male a una mosca. Andava d’accordo con i suoi colleghi, era benvoluto dagli studenti. Abbiamo alcuni amici nel vicinato che vengono a cena da noi, di tanto in tanto. Non ha mai discusso molto con gli estranei. Non c’era nulla di strano in lui. Tutti lo amavano!”

“Va bene, quindi apparentemente non aveva nemici,” disse Shelley, annuendo in modo incoraggiante sebbene si sentisse frustrata da quella risposta. Era sempre meglio avere una pista da seguire. “In tutta la sua carriera, crede? Non ha mai avuto alcun problema?”

La signora tirò su con il naso, scrollando le spalle. “Beh, c’era sempre qualcosa di poco conto,” disse, sebbene il suo tono indicasse un’assoluta mancanza di rilevanza, secondo la propria opinione. “Era un professore. C’erano studenti che non erano contenti dei voti. O studenti che venivano bocciati perché non seguivano le lezioni o non consegnavano i lavori in tempo. Pensano tutti di meritare un trattamento di favore. Ma è normale, fa parte del lavoro. Nessuno ucciderebbe per qualcosa come un voto, no?”

Shelley si rese conto che la signora Henderson stava davvero ponendo quella domanda, cercando di essere rassicurata. Purtroppo, Shelley sapeva di non poterla tranquillizzare. Le persone uccidevano per ogni tipo di ragione. Non sempre c’era razionalità, dietro. A volte era semplicemente l’ultima goccia a farli scattare.

Forse era un’idea che valeva la pena approfondire. Un ragazzo ricco, che si ritiene un privilegiato e che ha ricevuto tutto dalla vita, all’improvviso inizia a fallire, per la prima volta nella sua vita. Dà di matto, spinto dall’orgoglio. Oppure uno studente sul lastrico, senza più nessuna ragione di vita: una persona alla quale sono recentemente morti i genitori, con una relazione appena terminata e, per finire, un brutto voto. Sì, era decisamente qualcosa da prendere in considerazione.

“Speriamo di no,” disse, rivolgendole un leggero sorriso pensato per trasmettere la sua solidarietà. “Le viene in mente qualsiasi cosa insolita che possa essere successa negli ultimi giorni o settimane, o persino mesi?”

La signora Henderson scosse il capo, asciugandosi nuovamente gli occhi. “Ci ho pensato continuamente. Era tutto così … normale. Per questo è stato un tale shock. Del tutto inaspettato. Non riesco affatto a capire per quale motivo qualcuno abbia voluto far del male al mio Ralph.”

La donna stava diventando sempre più angosciata. Forse sarebbe stato meglio concludere la conversazione e lasciarla in pace. “Non c’è nient’altro che possa dirci? Proprio niente? Potrebbe anche non sembrarle qualcosa di rilevante, ma ogni piccola informazione è un altro pezzo del puzzle.”

La signora Henderson scosse la testa con un’espressione impotente.

“Va bene, un’ultima domanda. Ricorda se suo marito ha mai parlato di uno studente di nome Cole Davidson?”

“Non fino a quando il suo nome non è apparso sui giornali,” rispose la signora Henderson. “Povero ragazzo. Credete … credete che siano collegati? Devono esserlo, no? Due omicidi in un arco di tempo così breve?”

“Per noi non è utile fare speculazioni in questa fase.” Shelley bevve un ultimo sorso di caffè, rammaricandosi di dover lasciare ben metà di quella che era stata una tazza molto saporita. “Ma la contatteremo, nel caso dovessimo avere altro da dirle.”

Shelley si alzò, quindi aspettò che Zoe si unisse a lei. “Signora Henderson, c’è qualcuno che può farle compagnia oggi?”

La donna annuì lentamente, alzandosi per accompagnarle alla porta. “Mia figlia sta tornando a casa. Dovrebbe essere qui in serata.”

Questo tranquillizzò Shelley. Lasciare una donna sola con il suo dolore non le sembrava mai una cosa giusta, indipendentemente da quante famiglie avesse interrogato. “Allora ci terremo in contatto, signora Henderson. Nel frattempo, cerchi di riposare un po’.”

Tornarono in auto, e Zoe tirò immediatamente fuori il suo taccuino per ricominciare a scrivere. Shelley si chiese se avesse ascoltato una sola parola della conversazione, o se l’avesse subito liquidata come inutile e avesse passato tutto il tempo a pensare ai numeri.

In ogni caso, Shelley non riusciva ad arrabbiarsi. Al momento, le equazioni erano l’unico vero indizio che avevano. Mentre tornavano alla base, Shelley non riuscì a fare a meno di preoccuparsi del fatto che non avrebbero trovato niente di utile in grado di dare una svolta al caso. Con Zoe così fissata sui numeri, sarebbe stato compito di Shelley trovare qualcos’altro che avrebbe potuto fare la differenza.

Il punto era capire in che direzione cercare.




CAPITOLO SEI


Zoe odiò ogni istante di tempo sprecato a percorrere l’edificio, dal parcheggio alla stanza che avevano occupato per le indagini. Quasi cinquecento passi di distanza che avrebbero potuto essere impiegati per lavorare. Per quanto fosse bello occuparsi di qualcosa che era avvenuto, come diceva Shelley, a casa loro, Zoe si stava già innervosendo. Le equazioni rifiutavano di svelarle i loro segreti, restando ottuse e opache.

Non appena raggiunse il tavolo, Zoe si sedette e riprese i suoi appunti, cercando di risolvere ogni elemento dell’equazione del professore, un pezzo alla volta. In fin dei conti, la sua era l’unica che avevano visto di persona, l’unica di cui potevano essere sicure che fosse completa.

“Darò un’occhiata al suo account e-mail universitario,” disse Shelley, gettando la sua borsa su una sedia e tirando fuori il cellulare.

“È necessario?” domandò Zoe, arricciando il naso. Non c’era motivo di correre dietro un indizio del genere. La risposta era nelle equazioni, non nella vita privata del professore. Doveva essere così. Non c’erano collegamenti tra Cole Davidson e questo professore d’Inglese, a parte le equazioni.

“Non sono brava in matematica, quindi non posso aiutarti a risolvere le equazioni,” precisò Shelley. “E poi, qualcosa che ha detto la signora Henderson mi ha dato da pensare. Potrebbe avere a che fare con uno studente. Qualcuno che si è sentito offeso, in qualche modo. È plausibile che molte persone nel campus conoscessero sia Cole che il professor Henderson.”

Zoe esitГІ, le obiezioni erano ferme sulla punta della sua lingua, in attesa di uscire. Sentiva che sarebbe stata una perdita di tempo, ficcare il naso nelle e-mail di un uomo morto. Ma che importanza aveva? Shelley aveva ragione, non poteva aiutarla con le equazioni. E forse era arrivato il momento che Zoe iniziasse a fidarsi della sua partner, a lasciarla indagare per conto suo.

Inoltre, forse sarebbe stato meglio per Zoe se questo caso si fosse risolto attraverso una e-mail di disappunto piuttosto che con i numeri. Da quando Shelley aveva riferito ai loro superiori che Zoe ci sapeva fare con la matematica, la donna non era proprio ansiosa di dimostrarlo. Infatti, sarebbe stato meglio far passare quelle esternazioni come un’eccessiva fiducia da parte della sua partner.

A meno che non avesse ostacolato il caso, naturalmente. Fermare l’assassino restava sempre la cosa più importante.

Zoe tornò a prestare attenzione alle equazioni mentre Shelley chiamava l’università per ottenere i permessi necessari. Il punto era che, in entrambi i casi, aveva fatto tutto il possibile. Era vero che c’era sempre la possibilità che qualcosa mancasse sul cadavere dello studente, ma loro due avevano controllato personalmente il professore.

Quindi cosa le stava sfuggendo?

C’era un’altra possibilità, ovviamente: che lei non fosse abbastanza esperta da venirne a capo. C’era una differenza tra essere in grado di vedere i numeri, in termini di distanze, dimensioni, angoli, ed essere capaci di risolvere problemi di matematica quantistica. Entravano in ballo ulteriori abilità, abilità che altre persone avevano dedicato una vita intera a sviluppare. Zoe poteva anche avere un dono, ma l’aveva consacrato alla caccia agli assassini, non allo studio della matematica.

Il che le fece venire in mente un’altra idea.

Si alzò, lasciando Shelley ancora intenta a parlare con una segretaria al telefono, e prese un fascicolo di foto, incamminandosi lungo il corridoio e dirigendosi verso l’ascensore. Salì due piani e percorse un corridoio identico a quello precedente, tranne per la quantità di potere che trasudava da queste stanze .

Zoe fece un respiro profondo prima di bussare alla porta del suo superiore. Quante volte era stata convocata qui, per essere strigliata per aver perso un altro partner o usato la sua arma da fuoco?

Ma stavolta non era come allora, e lei entrГІ non appena fu invitata a farlo, cercando di calmarsi.

Con la sua figura imponente e la muscolatura più grande del normale, era facile capire per quale motivo l’Agente Speciale al Commando Maitland apparisse intimidatorio sul campo. Ai criminali sarebbe bastato dargli un’occhiata per scappare.

Zoe si stava sforzando molto per non provare la stessa sensazione.

“Signore,” disse, esitando sulla soglia.

Maitland alzò lo sguardo dalle sue scartoffie, quindi continuò a scrivere la propria firma in calce a una domanda. “Entri pure, Agente Speciale Prime. Non rimanga tutto il giorno nel corridoio.”

Zoe fece un passo avanti, chiudendo la porta dietro di sé con un po’ di riluttanza. Tuttavia, raddrizzò le spalle e si rivolse a lui con la schiena dritta, un portamento che si sentiva sempre ispirata a mantenere in sua presenza. “Signore, riguarda il caso al quale l’Agente Speciale Rose e io stiamo lavorando. Il ragazzo del college e il professore, trovati con delle equazioni scritte sui loro cadaveri.”

Nonostante l’enorme mole di lavoro che doveva necessariamente essere passata attraverso la sede di Washington, Maitland non lo aveva dimenticato. “Lo so. Di cosa ha bisogno?”

“Le equazioni sono di livello estremamente elevato,” disse Zoe, sentendosi un po’ un fallimento per aver ammesso che fossero troppo difficili per lei. Ma andava fatto. Fissando gli angoli di novanta gradi precisi di qualsiasi cosa si trovasse sulla scrivania di Maitland, piuttosto che guardare l’espressione dell’uomo, si costrinse a proseguire. “Ritengo che sarebbe meglio coinvolgere un esperto in materia. Qualcuno che possa lavorare sulle equazioni da una prospettiva matematica professionale.”

Maitland annuì, quindi smise di scrivere non appena si rese conto che lei aveva finito. “Ha già in mente qualcuno? L’Agente Speciale Rose ci ha ricordato che una volta lei studiava matematica.”

“È così, signore.”

“Bene.” L’attenzione di Maitland tornò alle sue scartoffie, in pratica congedandola. “Permesso accordato. Avrà i documenti il prima possibile.”

“Sì, signore.” Zoe si girò e quasi scappò dalla porta, felice di aver ottenuto un risultato così positivo. Non sarebbe rimasta qui in attesa che lui cambiasse idea, assolutamente.

C’era del lavoro da fare, e qualcuno che era molto importante tirare dentro nel caso.


***

Zoe attese speranzosa, guardando la sua mentore esaminare le immagini.

“Queste foto sono … scioccanti.” La dottoressa Applewhite scosse il capo, tenendo il labbro inferiore tra i denti per tre secondi mentre faceva scivolare la fotografia sul fondo della pila che teneva in mano ed esaminava quella successiva. “A volte dimentico che devi guardare questo genere di cose giorno dopo giorno. Deve metterti a dura prova.”

Zoe scrollò le spalle. “I cadaveri sono cadaveri. È la mancanza di soluzioni a infastidirmi.”

“E questo è un caso che non sei ancora stata in grado di risolvere.” Non era una domanda. Zoe l’aveva già preparata al fatto che avesse bisogno d’aiuto. La dottoressa Applewhite sapeva che era un caso aperto, in corso, e che bisognava richiedere un permesso persino per avere questa conversazione. Capiva anche che il tempo era prezioso. Ad ogni ora che passava, le probabilità di trovare la persona che aveva commesso quegli atti diminuivano sempre di più.

Nel caso degli omicidi, la verità era che le prime ventiquattro ore avevano un’importanza cruciale. Lo sapevano tutti. Quarantotto ore senza un arresto, e avrebbero iniziato a camminare su una strada pericolosa. Erano casi che sarebbero diventati episodi di show televisivi notturni.

Lo studente universitario era morto da ben piГ№ di quarantotto ore.

“Devo capirne il significato,” spiegò Zoe. “Al momento, questo è l’unico indizio che abbiamo. Non sembrano esserci connessioni tra il professore e lo studente, al di là del luogo. Nessun testimone, nessuna copertura da parte di telecamere di sorveglianza. Dobbiamo capire che tipo di messaggio sta cercando di inviare l’assassino, se vogliamo fermarlo.”

La dottoressa Applewhite aveva lo sguardo aggrottato sulle immagini, e le mise accanto agli appunti di Zoe per eseguire i calcoli che lei aveva giГ  svolto.

“Il tuo lavoro mi sembra sensato” disse dopo un po’. “Non riesco a fare nient’altro rispetto a ciò che hai già fatto tu. Questa è roba estremamente avanzata, oltre il livello al quale lavoro.”

A Zoe caddero le braccia. Era stata convinta, così convinta, che la dottoressa Applewhite avrebbe avuto le risposte. Ora queste speranze sembravano svanite.

Stava giГ  vagliando le alternative, cercando di pensare a cosa avrebbe detto a Shelley, quando la dottoressa Applewhite ricominciГІ a parlare.

“Conosco qualcuno che potrebbe aiutarci,” disse. “Professori. Un paio di matematici che lavorano in altri settori. Se potessi mostrar loro tutto questo, potremmo andare un po’ avanti. È il tipo di sfida che piacerà a tutti, e quantomeno saremo sicure di avere delle menti esperte al lavoro.”

Zoe approvò. “Sarebbe utile.”

La dottoressa Applewhite sistemò i capelli ingrigiti dietro un orecchio e alzò lo sguardo, fissando Zoe con occhi curiosi, adesso. “Come la stai affrontando? Non capita spesso che un enigma matematico ti metta in difficoltà.”

Zoe considerò per un attimo di mentire, ma poi abbassò le spalle. “È un po’ un fallimento. Questa è la mia specialità. Dovrei essere in grado di risolvere queste equazioni. Se non posso farlo io, chi potrà farlo nell’FBI?”

Queste parole, dette da chiunque altro, sarebbero sembrate arroganti. Nel caso di Zoe, si trattava un puro fatto. Analisti e simili potevano anche trascorrere tutto il giorno a lavorare con i numeri, ma non ne avevano la percezione istintiva propria di Zoe. Non potevano guardare un’equazione sulla pagina e vederne la soluzione come se fosse scritta accanto. Almeno era quello che le accadeva di solito.

Ma stavolta era diverso.

“Non puoi pretendere di risolvere tutto. Nessun agente dell’FBI, nella storia del Bureau, ha mai avuto un tasso di casi risolti del cento per cento.”

Zoe le rivolse un pallido sorriso. “Sono certa che ci siano stati esempi del genere. Agenti che sono stati uccisi o che hanno mollato subito dopo aver risolto il loro primo caso, per dirne una.”

La dottoressa Applewhite alzò gli occhi al cielo. “È proprio da te trovare la scappatoia. Ok, farò qualche chiamata e porterò queste equazioni all’attenzione di alcuni dei miei colleghi. Non dirò loro di cosa si tratta, ma solo che è urgente e che è una bella sfida. Questo dovrebbe incuriosirli abbastanza da spingerli a lavorarci su. Ti farò sapere quando qualcuno troverà una soluzione.”

“O anche qualcos’altro,” suggerì Zoe. “Se qualcuno dovesse trovare un errore o una traccia di un qualcosa di mancante. Non siamo state in grado di controllare per bene il primo cadavere, per vedere se al fotografo fosse sfuggito qualcosa. Tenga presente che anche noi non sappiamo se questa sia stata concepita per essere un’equazione singola o due problemi separati.”

“Capito.” La dottoressa Applewhite ripose le fotografie sulla scrivania davanti a lei, cinque centimetri a destra, più vicino al suo portatile. Un gesto che rassicurò Zoe della sua intenzione a iniziare a occuparsene il prima possibile. “Ora, cosa mi dici dei consigli della dottoressa Monk? Hai pensato di …”

La suoneria di Zoe eruppe dalla tasca, accompagnata da un forte ronzio. Salvata dalla campanella, pensò, mentre assumeva un’espressione dispiaciuta e rispondeva alla chiamata.

“Agente Speciale Prime.”

“Z, sono io. Ho trovato qualcosa tra le e-mail del professore.”

“Arrivo subito,” le rispose Zoe, chiudendo la chiamata e alzandosi di scatto dalla poltrona con un cenno alla sua mentore. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere più promettente del nulla che avevano in mano.




CAPITOLO SETTE


Zoe parcheggiò l’auto all’interno del campus. A quest’ora, con la sera che calava rapidamente, era decisamente al completo; le auto appartenevano agli studenti che vivevano nei vari dormitori e appartamenti sparsi in giro. Ognuna di esse aveva un pass universitario attaccato al parabrezza anteriore. L’auto di Zoe aveva qualcosa di meglio: un adesivo dell’FBI.

“Leggimela di nuovo” chiese Zoe. Era ancora dubbiosa a proposito della teoria di Shelley. Essere arrabbiati per un calo dei voti era una cosa, ma arrivare al punto di uccidere …?

Shelley aprì l’e-mail sul suo cellulare senza neanche un sospiro di frustrazione, cosa che le faceva onore. Aveva salvato la schermata e l’aveva portata con sé come prova, prova di cui avrebbero avuto bisogno per affrontare lo studente che l’aveva inviata.

“�Professore,’” lesse. “�Non riesco a credere che mi abbia bocciato. Insomma, seriamente? Mi sono fottutamente impegnato con il suo test e lei ha semplicemente deciso di sbattermi fuori a calci dal corso! Gli insegnanti dovrebbero aiutare e sostenere. Grazie mille, cazzo. Sei il peggior professore che abbia mai avuto. Spero ti licenzino. Non sono l’unico che ti odia a morte. Verrai appeso per le palle se il rettore darà ascolto alle nostre lamentele. Buonanotte, stronzo.’”

Zoe aveva smesso di ascoltare prima che Shelley terminasse. L’aveva già sentita un paio di volte, e neanche stavolta aveva cambiato opinione. Era una spacconata da studente, tutto qui. Minacce rivolte alla sua carriera, non alla sua vita.

Per non parlare del fatto che lo studente in questione studiava Inglese, non matematica. Non era un collegamento abbastanza diretto. Come poteva riuscire uno studente, che a stento aveva delle basi di istruzione, a scrivere equazioni complesse? Talmente complesse da mettere in difficoltГ  degli esperti?

E inoltre, nonostante questo ragazzo fosse arrabbiato con il professore, non si spiegava affatto il motivo per il quale avrebbe dovuto dare la caccia alla prima vittima, l’altro studente.

“Allora?” chiese Shelley.

Zoe si rese conto di essere rimasta in silenzio e di non aver risposto a Shelley. Scrollò le spalle. “Sembra una cosa da niente.”

“Andiamo, Z, ha minacciato direttamente il professore,” disse Shelley. “E questa allusione ad altri studenti insoddisfatti … e se conoscesse qualcuno che avrebbe potuto ucciderlo? Come minimo dobbiamo portarlo dentro per interrogarlo.”

Zoe fissò il campus buio, le braccia incrociate al petto davanti al volante. “Se lo dici tu.”

Chiaramente non era la risposta che Shelley si aspettava di ricevere, dato che emise un verso infastidito e si allontanГІ.

Il suo telefono vibrò quasi nello stesso istante e lei abbassò lo sguardo per leggere il messaggio in arrivo. “Ho appena ricevuto un’e-mail da una segretaria dell’ufficio ammissioni. Mi ha inviato il programma di Jones.”

“Jones?” la interruppe Zoe.

Questa volta, Shelley sospirò e alzò gli occhi al cielo. “Jensen Jones, lo studente che siamo venute a cercare. So che credi che non sia un granché come pista, ma pensavo stessi almeno prestando attenzione.”

Zoe scrollò nuovamente le spalle, senza scusarsi. Aveva cose migliori, più importanti, a cui pensare. Le equazioni. Il fatto che non fosse ancora neanche minimamente vicina a risolverle. Attendere che i contatti della dottoressa Applewhite dessero loro un’occhiata e le rispondessero qualcosa era simile a un’agonia.

“Comunque, questo è importante. Jones frequentava anche un corso di fisica. E indovina chi era lo studente tutor di quel corso?”

Zoe la fissГІ, inflessibile. Non aveva intenzione di fare questo gioco.

Shelley proseguì, senza perdersi d’animo. “Cole Davidson. Ossia, la vittima numero uno. Jones aveva un legame personale con entrambe le vittime.”

“Ma non frequentava matematica.” Zoe non riuscì più a trattenersi. Si rifiutava di credere che le equazioni fossero qualcosa di casuale, soltanto scarabocchi concepiti per distrarle. Avevano un ruolo fondamentale in questo caso. Dovevano averlo.

Perché, altrimenti, voleva dire che Zoe non era così utile per la soluzione di questo caso come credeva di essere, e che si trattava soltanto di un noioso, ordinario omicidio. Il motivo per il quale questa cosa la infastidisse così tanto non riusciva pienamente a capirlo. Sapeva soltanto che avrebbe dovuto risolvere le equazioni, che quelle fossero la chiave.

“Ascolta, so che se volessi potresti impormi la tua autorità. Sei l’agente senior. Ma non voglio finire con un caso irrisolto senza poter dire che non abbiamo lasciato nulla di intentato. Vado a interrogarlo,” disse Shelley con decisione, aprendo la portiera e uscendo dall’auto.

Zoe rimase seduta per un istante, quindi sospirò e uscì anche lei. In fin dei conti, erano partner. Lavoravano insieme. Anche se Zoe non credeva affatto che tutto questo fosse necessario, avrebbe comunque dovuto supportare la sua partner.

E così avrebbe fatto.

Raggiunse Shelley, che stava attraversando il campus quanto più velocemente le sue gambe le consentissero di fare, qualche minuto dopo. L’altra donna emanava un’energia scoppiettante, una rabbia che spuntava da lei come gli aculei di un istrice. Zoe conosceva bene quel tipo di sensazione. Lei scatenava sempre la rabbia negli altri, soprattutto quando non riusciva a capire cosa avesse fatto di sbagliato.

Almeno questa volta ne era consapevole.

“Ti darò ascolto,” disse Zoe. “Se credi che questo ragazzo ci fornirà qualcosa, ti appoggerò.”

I passi di Shelley esitarono un po’, prima di riprendere il cammino. “Grazie,” rispose, un po’ troppo freddamente. Zoe comprese che era ancora arrabbiata, ma per quale motivo? Le aveva dato ciò che voleva, no?

Ma queste domande avrebbero dovuto essere messe da parte e riprese in seguito, o magari mai più, perché erano arrivate all’esterno di una palazzina ai margini del campus. Shelley aveva chiuso la mappa sul cellulare, e Zoe dedusse di conseguenza che dovevano essere arrivate. Dalla strada, capì anche che la musica che rimbombava dalle finestre, per quanto chiuse, superava i limiti urbani notturni di rumore.

Uno studente universitario, che doveva avere al massimo diciannove anni, stava barcollando all’ingresso quando si avvicinarono. Aveva un bicchiere rosso in mano, e armeggiava con una sigaretta. Quando alzò lo sguardo e vide le due donne avanzare verso di lui, i suoi occhi si spalancarono in modo quasi comico. I duecento millilitri di liquido contenuti nel bicchiere furono lanciati alle sue spalle per finire su qualche cespuglio, e il ragazzo si allontanò di corsa, stringendo il recipiente di plastica ormai vuoto come se la sua vita dipendesse dal tenerlo alla larga dalle loro mani.

“Un party,” disse Zoe, riconoscendone i segnali.

Tirò nuovamente fuori il suo telefono e aprì una fotografia di Jensen Jones presa dal suo documento di immatricolazione al college. Era giovane, dall’aspetto abbastanza curato. Capelli castani, un naso largo, occhi marroni. Nulla di particolare.

Il che era una cattiva notizia, per via di quello che disse dopo Shelley. “Dovremo tenere gli occhi aperti per trovarlo. Immagino che la maggior parte di loro si sparpaglierà e cercherà di scappare non appena saremo dentro. Abbiamo sicuramente l’aspetto di agenti dell’FBI, o quantomeno di poliziotti. Potremmo essere costrette ad acciuffarlo mentre cerca di scappare.”

“Andare a fare baldoria subito dopo aver ucciso due persone?” domandò Zoe. “È davvero considerata una reazione normale?”

“No, non è normale, ma è già successo,” rispose Shelley. “Potrei citarti un paio di casi, ma probabilmente sarebbe più efficace trovarlo e chiederglielo.”

“Dopo di te,” disse Zoe, indicando la porta.

Shelley fece un respiro profondo, come per prepararsi psicologicamente, quindi annuì. “Andiamo.”

Oltre la soglia dell’edificio, il rumore era molto più assordante. A complicare la loro ricerca c’erano tre porte aperte soltanto al piano terra; i residenti di ciascun alloggio aprivano i propri spazi per trasformarli in una nuova area della festa. Il party si era diffuso nel corridoio, al piano di sopra e, almeno a giudicare dai tanti giovani che si muovevano in tutte le direzioni, all’interno di qualsiasi alloggio dell’edificio.

La comparsa di Zoe e Shelley non fu notata immediatamente. Un paio di studenti le aveva viste ed evitate, volendo indubbiamente mettersi al riparo da eventuali problemi.

Ma poi accadde la cosa peggiore possibile: uno dei ragazzi, un atleta alto un metro e ottanta con il fisico di un quarterback, gridò in preda al panico. “Gli sbirri!”

L’annuncio si propagò in tutto l’edificio come un incendio, e scoppiò il panico. Era inutile tentare di rimanere in incognito. Zoe cercò il suo distintivo nella tasca interna del giubbotto e lo sollevò per mostrarlo. “FBI. La festa è finita. Ora!”

L’effetto fu immediato e tangibile. Trenta studenti scapparono via, superandola in rapida successione, tutti dalle camere degli alloggi inferiori. La voce si sparse anche al piano di sopra, e le persone si scaraventarono giù, inciampando e facendo cadere le birre sulla moquette.

Zoe attese nell’atrio al piano di sotto, mentre Shelley entrò in tutte e tre le stanze del piano terra, facendo fuoriuscire altri studenti. Dal punto in cui si trovava, con gli studenti che le correvano accanto senza che lei facesse alcun tentativo per fermarli, Zoe riuscì a capire che il posto era un disastro. Bicchieri rossi accartocciati, cibo e bevande rovesciate e l’occasionale chiazza di vomito coprivano qualsiasi superficie in vista. Era una festa grossa: il tipo di party leggendario di cui i ragazzi avrebbero parlato per mesi. Peccato l’avessero interrotto.

Zoe non poteva dire di provare alcun tipo di nostalgia. Era stata invitata raramente a qualsiasi tipo di festa, ed era ancora più raro che vi avesse partecipato. Allora, come ora, questo genere di party era decisamente insopportabile per lei. Il rumore, le persone ovunque guardasse, le sbronze, la tentazione di alcol proibito e, a giudicare dall’odore nell’aria, anche di altre sostanze.

Nonostante il vantaggio offerto dagli anni di esperienza, tutto ciò che Zoe poteva fare era concentrarsi sull’analisi dei volti di quelli che scappavano attorno a lei. Confrontò ciascuno di loro con il ragazzo in fotografia, ma nonostante l’abbondanza di corrispondenze parziali, nessuno era il vero Jensen Jones. Si sentiva come uno scoglio nel bel mezzo di un fiume, con la corrente che la lambiva. C’erano un mucchio di cose interessanti che catturavano il suo sguardo, angoli e figure e segni, ma passavano così rapidamente che era a malapena in grado di registrarle prima che sparissero.

Shelley ricomparve dalla terza stanza, scuotendo la testa. Zoe spostò lo sguardo verso le scale, appena in tempo per vedere che qualcuno si stava dirigendo a tutta velocità verso di loro. Una giovane donna che indossava una collana di dodici tappi di bottiglia legati insieme attorno al collo, che tintinnavano l’uno contro l’altro mentre correva …

“Lì!” gridò Shelley.

Zoe distolse troppo tardi la sua attenzione dalla ragazza, riuscendo soltanto a scorgere un’altra forma indistinta passarle accanto. Dal modo di gesticolare di Shelley, Zoe capì che doveva trattarsi del loro uomo. Imprecò sottovoce: il ragazzo aveva già varcato la porta.

Si girò e scatto all’inseguimento, tenendolo d’occhio mentre correva. Era alto un metro e settantotto centimetri, corporatura atletica; i muscoli dei suoi polpacci si contraevano senza difficoltà, mentre le braccia si muovevano su e giù con vigore. Era giovane, in perfetta forma e chiaramente un runner esperto.

Zoe completГІ a stento cinque passi prima di capire che non avrebbe avuto la minima speranza di raggiungerlo.

Nella sua mente, il campus si dispiegò davanti a lei come una mappa, topografia e angoli di pendenza inclusi. Il ragazzo stava serpeggiando a sinistra, dirigendosi verso un gruppo di piccoli edifici che punteggiavano il margine del campus. Alle loro spalle c’era una recinzione, costruita per garantire una barriera tra il college e la città circostante.

Zoe pensò più velocemente di quanto riuscisse a correre. Il tragitto del ragazzo avrebbe necessariamente dovuto curvare, seguendo la linea della recinzione, prima di poter raggiungere un cancello per il passaggio pedonale; questo se avesse portato con se la sua tessera studentesca, che lei sapeva sarebbe stata necessaria per uscire da lì, proprio vicino a diverse strutture del college.

“Stagli addosso!” urlò, vedendo Shelley con la coda dell’occhio mentre si staccava a destra. A quella velocità, lui l’avrebbe seminata senza alcun dubbio. Ma Zoe poteva percorrere una distanza più breve nello stesso intervallo di tempo e, calcolando la velocità in chilometri all’ora del ragazzo rispetto alla sua, capì che avrebbe potuto raggiungerlo in prossimità del cancello.

Ma soltanto se avesse tagliato in linea retta, attraversando un cortile interno aperto, uno stretto corridoio tra due edifici, e poi il parcheggio retrostante.

E soltanto se qualcuno non le avesse intralciato la strada.

Zoe spinse ulteriormente le braccia e le gambe, accelerando nonostante pensasse di aver già raggiunto il suo limite, lottando contro l’aria fredda della sera che fluiva nei suoi polmoni. Non era frequente, negli ultimi tempi, che dovesse affrontare una vera e propria sfida atletica. E lei non era giovane quanto lui. Ma si sforzò comunque, con l’intenzione di essere dannatamente sicura che sarebbe arrivata lì in tempo, anche se ci fosse stato un ostacolo sulla sua strada.

Attraversò il cortile di volata, poi fu la volta del corridoio, il sottile valico fortunatamente libero da qualsiasi altro corpo che potesse ostacolarle la corsa. Il terreno sotto i piedi mutò, passando alla ruvida, stridente sensazione dell’asfalto, che punì i suoi piedi per aver scelto di indossare delle semplici scarpe formali al posto delle scarpette da ginnastica.

Zoe non riusciva ancora a scorgere la recinzione dall’altra parte degli edifici, ma vide il cancello. Scattò in avanti con un’altra scarica di adrenalina. Se non fosse arrivata in tempo …




CAPITOLO OTTO


Non c’era tempo da perdere. Zoe diede un’intensa spinta finale, forzando il suo corpo oltre il suo limite di sopportazione naturale.

Il cuore di Zoe batteva in sintonia con i suoi piedi mentre attraversava il parcheggio, e la donna si fermГІ di schianto quando andГІ a sbattere contro un altro corpo. AllontanГІ istintivamente le braccia per mantenere la presa su di lui, e spinse Jensen Jones contro la recinzione di tre metri in modo che non potesse usare il vantaggio offerto dalla sua costituzione fisica per scappare.

Shelley si trovava a poca distanza. Era pesantemente a corto di fiato e rossa in viso, con ciocche di capelli che sfuggivano dal suo chignon, ma era lì. Aiutò Zoe a mettere un paio di manette ai suoi polsi, dietro la schiena, mentre ansimavano avvisi riguardanti il fatto di fuggire dalle forze dell’ordine e il diritto a interrogarlo. Lui si limitò ad abbassare la testa, cercando di riprendere fiato a sua volta.

Tutto il corpo di Zoe sembrava come se si fosse risvegliato. Aria e luce avevano riempito gli spazi tra le articolazioni, l’allungamento dei muscoli a lungo dormienti era una sensazione meravigliosa. Ovviamente, c’era anche il dolore, soprattutto alle caviglie, che non avevano affatto gradito gli scossoni lungo il parcheggio. In generale, si sentiva alla grande. C’era qualcosa di stupendo nelle folate di vento tra i capelli quando si correva contro qualcun altro, e si vinceva.




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